il suo segreto? ridefinire il concetto di leadership

quanto può essere leggendario un allenatore capace di stabilire una connessione con Dennis Rodman (probabilmente l’unico cittadino americano ammesso al tavolo di Kim Jong-un in Corea del Nord)?

una connessione non verbale, ma un legame di cuore, profondo, radicato nel silenzio. una sintonia nata già al secondo incontro tra i due, dopo aver osservato l’uno, Dennis, i manufatti dei nativi americani presenti nell’ufficio del coach, e l’altro, Phil, una collana donata all’atleta da una Ponca dell’Oklahoma.

se vi state chiedendo di che diamine stiamo parlando, dovreste farvi un giro su google, digitare “Phil Jackson” e “Dennis Rodman”, o, ancora meglio, leggere “Eleven Rings”, il libro scritto proprio da Jackson in collaborazione con Hugh Delehanty, e addentrarvi in una storia, in una vita, che va al di là del campo da basket, anche se, di quello sport, Jackson è l’allenatore più vincente al mondo.

Phil Jackson ha guidato i Chicago Bulls di Michael Jordan, probabilmente, soprattutto nella stagione 1995-96, la squadra più forte della storia, portandoli a vincere 6 titoli, per poi conquistare altri 5 anelli, l’emblema della vittoria del campionato negli sport americani, con i Los Angeles Lakers. come ci è riuscito? chi guarda la vita solo dalla superficie, senza mai sporcarsi le mani e grattare la crosta, potrebbe rispondere “facile, ha allenato i più forti, con quei giocatori arei vinto anche io”. ma avrebbe torto.

allenare i giocatori più forti, quelli con un ego smisurato, e amalgamarli al resto del gruppo, puntando sull’alchimia necessaria a creare una squadra che punta sul “noi”, e non sull’ “io”, è una delle cose più difficili da fare.

solo una guida che entra in relazione con la parte più profonda delle persone può ottenere risultati che lasciano il segno nella storia.

se si vincesse solamente collezionando “figurine”, non esisterebbero storie illuminanti di sport dove gli “underdog” trionfano. quei Chicago Bulls sono stati tutto tranne che underdog e Michael Jordan è stato tutto tranne che uno dei tanti ma è proprio questo a rendere l’opera di Phil Jackson ancora più ricca di significato, intensità, profondità. perché quanto più cresce la posta in palio e i giocatori sono vere e proprie star dentro e fuori dal campo, tanto più le sconfitte sono dietro l’angolo e fanno rumore.

Phil Jackson è un allenatore che si discosta totalmente dalla letteratura che, fino ad allora, era utilizzata per raccontare la vita dei coach: uomini legati ai risultati, frutto di statistiche costruite sui canestri fatti e quelli subiti, difese imperforabili e attacchi devastanti.

Phil Jackson lega la sua leggenda non solo alle vittorie, quanto alla sua personalità. figlio di pastori presbiteriani del North Dakota, è cresciuto diventando uno dei leader più innovativi del nostro tempo.

Phil Jackson è un uomo costantemente alla ricerca di se stesso, attraverso l‘esplorazione di temi e mondi lontani tra loro, capaci di costruire la sua personalità pezzo dopo pezzo: dalla psicologia umanistica alla filosofia dei nativi americani, dalla meditazione zen alla mindfulness, la meditazione consapevole non svuotata, come accade oggi, del suo originale significato di “ricordare”.

l’unicità di Jackson risiede proprio in questo modo di intendere la vita e il ruolo di allenatore, di leader, di guida.

stiamo parlando di un uomo che ha sempre cercato di ispirare, non di comandare, di stimolare la parte migliore dei suoi giocatori, non di attaccare il loro ego e le loro paure, per costruire un’autorità dai piedi d’argilla.

una leadership basata sull’autenticità, sull’altruismo e sulla libertà di scelta delle persone: un vero e proprio rivoluzionario in un mondo che fa della competizione e del culto dell’ “io” i propri baluardi.

parlare di basket NBA significa parlare dell’espressione dello sport ai massimi livelli ma questi discorsi possono essere traslati anche nel mondo del lavoro. perché per un’azienda dovrebbe essere diverso cercare di avere una guida capace di tirare fuori da ogni persona il meglio di sé? perché un capo progetto dovrebbe pensare più a se stesso e non a migliorare il gruppo, puntando, valorizzando e armonizzando il talento di ognuno? perché per le imprese dovrebbe vincere l’”io” e non il “noi”?

essere in grado di mettersi alla guida seguendo questi principi farà di noi le persone capaci di determinare i successi della nostra squadra: la nostra impresa.

chiudiamo citando una frase di Jackson tratta dal libro “Eleven Rings, l’anima del successo”, ed. libreria dello sport.

una frase che, da sola, dovrebbe bastare a capire cosa distingue un leader che pensa solo a lucidare la propria argenteria, specchiandocisi dentro, e una guida capace di far brillare ogni elemento del gruppo, consapevole che sia l’unica via per ottenere successo:

“alcuni allenatori sono ossessionati dal vincere trofei, ad altri piace vedere il proprio volto in televisione. quello che motiva me è guardare giovani uomini creare un legame tra di loro e immergersi nella magia che nasce quando si impegnano – anima e corpo – in qualcosa di più grande di loro. una volta provato, non te lo scordi più”.