è il simbolo di come si possa diventare il più grande nel proprio campo, annaffiando il proprio seme autentico, pagandone il prezzo

parlare di Diego Armando Maradona è come parlare di Madre Teresa di Calcutta, Che Guevara, Albert Einstein, Leonardo da Vinci. trascende la storia, i luoghi, le culture, le persone. è trasversale. arriva a tutti perché tutti ne hanno un’opinione. lo amano, lo odiano, lo venerano, nel vero senso della parola, lo criticano, lo seguono, lo imitano. vogliono un pezzo di lui, per racchiuderlo in una teca o per farlo a brandelli. Diego Armando Maradona non è stato solo un calciatore. è stato un elemento capace di ridefinire i confini di quello che si poteva fare, o non fare, con un pallone tra i piedi. ma non solo. ha rivestito il gioco del calcio di significati maggiori, più profondi, sociali, collegati alle persone, ai loro sentimenti, alla loro voglia e al loro bisogno di trovare un punto di contatto tra la propria vita, le idee e le speranze e qualcuno che fosse in grado di definirne i contorni e lo spessore.

è per questo motivo che Maradona non si è mai dedicato solo al calcio. ha usato il suo ruolo per parlare di politica, per prendere posizioni nette nei confronti dell’Argentina dei generali, sui desaparecidos, su Cuba e Fidel Castro. ha fatto da cassa di risonanza per la voce di un popolo che fino a quel momento non aveva trovato il modo di farsi ascoltare. ha “punito” gli inglesi segnando due gol unici: il più bello della storia del calcio e quello della “mano di Dio”, rendendo giustizia, dal suo punto di vista, all’Argentina nella contesa con gli inglesi per le isole Falkland.

Maradona è stata l’ultima voce autentica di un calcio che si stava trasformando in una vera e propria industria, sempre più lontano dalla sua essenza e sempre più vicino a un modello di business in grado di produrre campioni oggi, spremerli e dimenticarli domani.

di Diego Armando Maradona se ne parlerà anche fra 100 anni. si parlerà del suo essere autore del proprio destino, nel bene e nel male, del suo non voler scendere a compromessi ma seguire la sua fiamma interiore.

solo chi crede in quello che è e si fa guidare da quel seme autentico nelle proprie azioni, consegna la sua memoria alla storia.

pensate che per un brand sia diverso?

l’autenticità è l’unica chiave che apre le porte di una credibilità che non potrà mai essere messa in discussione, al di là degli errori e delle cadute.

c’è sempre un modo per rialzarsi, è dentro ognuno di noi. brand o persone, non fa differenza. perché un brand senza le persone che lo compongono e gli danno vita, è un mero esercizio promozionale destinato a essere smascherato e a fallire.

un brand autentico, che fa del proprio dna interiore l’espressione effettiva delle proprie azioni, è un brand destinato a restare nel tempo.